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SGI e addetti ai lavori tornano a chiedere al Governo la revisione del Decreto Dignità

Da amministratore

Ottobre 25, 2018

SGI e addetti ai lavori tornano a chiedere al Governo la revisione del Decreto Dignità

Il vicepremier Luigi Di Maio l’ha fortemente voluto ed è riuscito ad ottenerne l’approvazione, è lui a detenere la paternità del Decreto Dignità e ad essere bersaglio delle critiche che arrivano dalle parti che si sentono penalizzate dalla legge.

Finora non sono riusciti a fare troppo rumore, le priorità erano altre, ma quando la coda lunga degli effetti del decreto sarà effettiva anche le loro istanze saliranno prepotentemente alla ribalta. Stiamo parlando degli addetti ai lavori del settore giochi colpiti dal divieto di pubblicità per l’azzardo determinato dall’articolo 9 della legge 96/2018.

Diversi ambiti sono toccati dal provvedimento, dalla semplificazione fiscale alla riduzione di un anno per i contratti a tempo determinato, e non è stata esente da critiche neanche la parte legata al gioco d’azzardo, con perplessità sollevate soprattutto dagli interessati dal provvedimento: operatori di gioco, esercenti e società che sponsorizzano l’industria dell’azzardo.

In buona sostanza, l’articolo 9 determina lo stop alla pubblicità, diretta o indiretta, per il gioco d’azzardo e quindi per le iniziative di marketing messe in atto dalle varie società di betting italiane o straniere.

Il provvedimento non colpirà subito i diretti interessati, considerato che i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge, ovvero prima del 14 luglio, potranno essere rispettati fino a scadenza e comunque per non più di un anno dalla stipula. Quindi, per fare un esempio, una rete televisiva privata che ha firmato un contratto per la messa in onda di una reclame dell’azienda di scommesse X potrà mandare in onda lo spot per un solo anno, dopodiché il rapporto dovrà necessariamente concludersi.

Ancora, sono vietate anche tutte le sponsorizzazioni nei confronti delle società che si occupano di gioco d’azzardo. Questa volta non c’è la possibilità di allungare di un anno il rapporto commerciale poiché tutti i contratti cesseranno di avere valenza dal 1° gennaio 2019.

L’anno nuovo decreterà quindi la fine di molti di questi contratti. Ecco alcuni esempi pratici: la Lazio ha firmato un contratto triennale da 21 milioni di euro complessivi, ma dovrà rescinderlo con l’avvento del nuovo anno; il Rimini Calcio ha perso il suo sponsor già prima dell’inizio del campionato in corso per lo stesso motivo. Prima che il decreto entrasse in vigore il vicepremier in quota 5 Stelle disse ai microfoni del Fatto Quotidiano: “Le aziende corrono a sottoscrivere contratti prima che con il DL entri in vigore il divieto di pubblicità al gioco d’azzardo Potenzieremo la norma transitoria. I contratti stipulati tra l’approvazione del decreto in CDM e la sua pubblicazione non saranno validi. Ma entro il 2019 cadranno tutti”.

Detto fatto, per chi violerà queste norme ci sarà una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 20% dell’accordo commerciale, comunque non inferiore a 50 mila euro. Oltre alla mannaia su sponsorizzazioni e pubblicità è previsto un innalzamento graduale del prelievo erariale unico sugli apparecchi di gioco, l’installazione di lettori per le tessere sanitarie entro il 2020 (una spesa che stavolta peserà sugli esercenti), e infine l’introduzione della locuzione “disturbo da gioco d’azzardo” in luogo di “ludopatia”.

Questo è il piano di Di Maio, per giunta già in atto. Dalla parte opposta ci sono 150 mila addetti e 6 mila imprese, un flusso di gioco (che comprende scommesse, casinò, slot, bingo…) da quasi 100 miliardi di euro che genera un indotto per lo Stato per circa 9,5 miliardi di euro, insomma dalla parte opposta non c’è solo un sistema che va demonizzato ma, anzi, un’economia in buono stato che vuole ancora migliorare per livellarsi allo status degli altri paesi europei. Va detto che tutte le parti in causa ritengono che il contrasto al gioco compulsivo sia un obiettivo fondamentale: sui portali dei gestori autorizzati sono già presenti validi strumenti di autoregolamentazione, nonché puntuali istruzioni di gioco, decaloghi relativi al corretto approccio all’azzardo, efficaci meccanismi antiriciclaggio e molti altri stratagemmi escogitati proprio per garantire agli utenti un’esperienza di gioco serena e controllata.

Se grazie alla stretta collaborazione tra operatori del settore ed enti incaricati della vigilanza (in primis l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) oggi il comparto relativo a scommesse e giochi di fortuna online presenta ottimi margini di sicurezza per gli appassionati, va detto che i provvedimenti presi dal Governo, già sulla carta, dimostrano tutti i propri limiti.

I primi ad esprimersi come collettivo non sono stati gli addetti ai lavori bensì le società sportive professionistiche italiane. In un comunicato congiunto hanno espresso la loro opinione indirizzandola al governo, facendo trapelare i dubbi in merito alla perdita economica che subiranno le squadre. Questo l’incipit del comunicato:

In merito alla conversione in legge del decreto n.87 del 2018 (c.d. Decreto Dignità), Lega Serie A, Lega Serie B, Lega Basket e Lega Pallavolo Serie A Maschile e Femminile esprimono unanimemente la propria preoccupazione sull’impatto che il divieto di pubblicità e sponsorizzazioni per giochi e scommesse con vincite in denaro avrà sulle risorse dello sport italiano, professionistico e amatoriale e chiedono di essere coinvolti nel processo di riordino del settore del gioco d’azzardo”.

Ma ovviamente le critiche più aspre arrivano dai diretti interessati: l’industria di settore.
La SGI, Sistema Gioco Italia ovvero una federazione di filiera dell’industria del gioco aderente a Confindustria,
che ha scritto un vero e proprio decalogo di norme che andrebbero a compendiare il decreto considerando non solo il giocatore affetto da disturbo ma anche la precaria situazione di alcune parti del settore (i piccoli esercenti, l’ippica e il bingo in primis).

Ma non sarebbe corretto parlare di semplice compendio, considerando che la proposta è quella di fare un passo indietro sulla pubblicità non vietandola ma normandola secondo schemi più rigidi, una posizione decisamente opposta a quella governativa. Ma se c’è una cosa su cui può contare questo esecutivo è il placet popolare: in virtù di questo e considerando che l’argomento non è in cima all’agenda non è, per restare in tema, pronosticabile un ritorno di Di Maio sui suoi passi.

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